Come sappiamo da studi di antropologia, psicologia e neuroscienze, l’essere umano tende a categorizzare il mondo che lo circonda in gruppi, in “in-group” e “out-group”, preferendo ciò che gli assomiglia e gli è più vicino. Questo atteggiamento è “innato” e sicuramente utile all’inizio della nostra storia umana e antropologica, così come all’inizio della nostra storia individuale (quando i neonati rivolgono istintivamente lo sguardo verso chi è più simile a loro o alla figura materna, per esempio nel modo di parlare): diventa però dannoso e controproducente se tale modalità continua in un mondo vario e diversamente complesso rispetto a quanto lo fosse agli albori dell’umanità.
L’obiettivo della nostra ricerca è stato quello di analizzare l’influenza dei bias inconsci che intervengono durante la selezione da parte del* selezionat*. Per fare ciò si è deciso di utilizzare l’IAT (Implicit Association Test), ossia un test computerizzato che permette di misurare gli stereotipi inconsci e i comportamenti sociali e che prende in esame le diverse associazioni che vengono effettuate all’interno di due categorie target e due categorie di attributi. Le credenze implicite delle persone sono derivate dalla forza di queste associazioni e da quanto velocemente e accuratamente la gente può accoppiare le parole target con le categorie di attributi date. La velocità nella risposta fornisce una misura di quanto i due concetti siano associati: più i concetti sono associati, più le risposte saranno veloci. Inoltre, i risultati di uno studio di Forbes et al., (2012) dimostrano che la forza delle associazioni stereotipiche è associata a un numero positivo di ERPs che si manifestano nelle regioni frontale e occipitale grazie a un processo automatico veloce.
Maggiori dettagli sul test, e soprattutto la possibilità di svolgerlo, in lingua italiana, si trovano al link: https://implicit.harvard.edu/implicit/italy/
Nella nostra ricerca, finalizzata allo svolgimento della tesi di laurea in Psicologia del Lavoro realizzata dalla studentessa Veronica De Filippis, grazie alla supervisione della professoressa Annamaria Castellano e in collaborazione con il gruppo “Neuroselezione” di AIDP, a un panel di 11 partecipanti, persone che si occupano di selezione del personale a tempo pieno, sono stati somministrati 4 degli 8 test da cui è composto lo IAT, ossia il test per la Razza, l’Età, la Sessualità e la Disabilità.
Anche se abbiamo un piccolissimo numero di casi è possibile avviare una prima riflessione perché sono emersi chiaramente alcuni bias impliciti che guidano, a livello profondo e inconsapevole, la selezione, influenzandone quindi i risultati.
In particolare:
- Test sulla Razza: 10 persone su 11 hanno mostrato una preferenza automatica, da leggera a forte, per i bianchi rispetto ai neri
- Test sull’Età: 9 su 11 hanno evidenziato preferenza da moderata a forte per i giovani rispetto agli anziani
- Test sulla Sessualità: 8 su 11 hanno preferenza da leggera a forte per le persone eterosessuali rispetto a quelle omosessuali;
- Test sulla Disabilità: 7 partecipanti su 11 hanno manifestato da leggera a forte preferenza per le persona normodotate rispetto a quelle diversamente abili.
Il/la selezionat* accort* normalmente dovrebbe essere consapevole dei possibili pregiudizi impliciti che possono influenzare la sua decisione, e dovrebbe cercare di porre attenzione al rischio di compiere scelte sbagliate nel fare la propria scelta. La nostra ricerca ha però messo in evidenza che in molti casi i pregiudizi sono impliciti e inconsapevoli, non riconosciuti dalle persone e rilevati tramite strumenti sofisticati (come lo IAT), che possano superare le barriere consce che ognuno mette in atto nel costruire la propria figura sociale.
Una soluzione che si sta adottando in diversi contesti e Paesi è quella del blind recruitment, che prende ispirazione dalle audizioni alla cieca, dietro un telo (per non essere influenzati dal sesso del musicista ed ascoltare solo come suona) ormai in uso in diverse orchestre: da quando è stata introdotta tale modalità, il numero delle musiciste di genere femminile nelle orchestre è passato dal 10% al 25-30% o più. Strumenti informatici possono favorire il blind recruitment analizzando in modo automatico i CV dei candidati ed esaminando solo le caratteristiche effettivamente interessanti per il ruolo (quindi non il genere, l’età, la provenienza geografica ecc…..): attenzione a come tali sistemi vengono programmati, però, per non portarsi dietro i pregiudizi dello sviluppatore…!
Ma ad un certo punto, dopo lo screening, l’eventuale somministrazione dei test ecc, ci troviamo di fronte al candidato, senza schermi e senza teli; la short list può anche essere “bias-free” ma se durante il colloquio intervengono pregiudizi di cui non siamo consapevoli non possiamo difendere da essi né noi in quanto selezionatori né i candidati stessi.
Pensiamo quindi che una maggiore consapevolezza dei differenti pregiudizi inconsci posseduti da ognuno di noi possa migliorare l’attendibilità delle procedure di selezione, se tale consapevolezza porta all’utilizzo di metodi e strumenti che possano ridurre o eliminare tali pregiudizi: le neuroscienze potrebbero guidarci nel costruire strumenti da applicare al colloquio che riducano l’influenza di tali pregiudizi. Come sappiamo, l’utilizzo costante di metodologie e metodi, in questo caso virtuosi, può modificare il funzionamento cerebrale stesso, portando quindi alla fine non solo a una nuova tecnica di selezione ma proprio a un miglioramento dell’efficacia de* selezionator*!
Veronica De Filippis – Francesca Lombardo
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