Il digitale riguarda e investe anche la mente.
Influenza e plasma abilità cognitive, risposte emozionali, relazioni e reazioni, modalità del cuore e del cervello di rispondere e affrontare la realtà, di decidere, di costruire significati e di immaginare possibilità. Il digitale è un’esperienza che lascia un’impronta biologica nelle strutture neurali della mente e quindi anche nei comportamenti e nelle capacità.
Per questo, nel progettare una strategia digitale appare fondamentale considerare anche le metamorfosi psicologiche. Comprendere le trasfigurazioni psicologiche prodotte dall’esposizione al digitale consente di presidiare la loro coerenza con i traguardi aziendali attesi. Senza una strategia digitale che si interessi anche del sommerso psicologico, potrebbero formarsi derive culturali e comportamentali distanti dal modello organizzativo e di business che si aspira a realizzare.
Di seguito sono proposti 5 impatti psicologici, cognitivi e relazionali del digitale che meriterebbero di essere considerati in una human digital strategy.
1. La perdita dei confini
Il digitale sottrae alle organizzazioni una delle condizioni identitarie e fondative: i confini. Sempre organizzazione significava una chiara delimitazione tra dentro e fuori, tra appartenenza ed estraneità. Con i suoi precisi confini – spaziali, procedurali, normativi, logistici – l’organizzazione offriva una condizione di protezione, di contenimento, di chiarezza, dando risposta alla fondamentale necessità psicologica di avere certezza di frontiere ed estremità.
Il digitale è smart working e legame senza necessità di confini. Il lavoro perde territorio fisico, spazi condivisi delimitati da comuni pareti. Diventa territorio virtuale. Il cuore smarrisce la rassicurante certezza dei confini. Non si guadagna solo più libertà, ma anche assenza di un luogo con la sicurezza di una differenza tra privato e pubblico, tra lavoro e personale, tra l’io professionale e l’io personale.
Il digitale smarrisce i confini organizzativi e impegna il cuore a trovarsene di propri, da solo.
2. L’isolamento della vicinanza
Psicologicamente il cuore necessita di relazioni, contatti e vicinanze. Quando queste vicinanze erano dettate dai vincoli delle organizzazioni pre-digitali – il collega fisicamente vicino nello stesso ufficio – la vicinanza era un’esperienza che costringeva all’ascolto, all’adattamento e alla scoperta. Nel pre-digitale la prossimità fisica richiedeva una prossimità comunicativa con la differenza e l’estraneità.
Il digitale consente di scegliere le proprie vicinanze. Vicinanze digitali. Comunicazioni e relazioni non sottomesse a vincoli spaziali e logistici. Legami che non richiedono sforzo di adattamento relazionale con chi si ha obbligatoriamente vicino, ma attraverso la rete come medium possono essere discriminati dalla simpatia - syn-pathos - dal vissuto dello stesso sentimento.
Il digitale consente di racchiudersi in comunicazioni tra simili, consente di evitare la fatica relazionale imposta dalla logistica fisica pre-digitale, di dover stabilire comunicazioni con i colleghi della scrivania accanto. La comunità organizzativa digitale facilita il desiderio di ritagliarsi isole di similitudine e identicità in mezzo al mare della varietà e della differenza, eliminando lo sforzo di capire, di negoziare, di trovare un compromesso che impone il vivere gomito a gomito tra e con le differenze.
Se il digitale espande e infittisce numericamente le comunicazioni e i contatti, allo stesso tempo le rende incestuose, perché chiuse all’interno della stessa famiglia di significati, linguaggi ed esperienze. Il digitale espande la vicinanza e allo stesso tempo la isola e impoverisce.
3. Il frastuono informativo
Altra metamorfosi psicologica è l’esito dell’esuberanza informatica a cui si è sottoposti. La quantità di informazioni accessibili e ricevute eccede le capacità umane di computazione ed elaborazione. Per sopravvivenza psicologica nascono e si producono filtri, semplificazioni, rifiuti, cancellazioni. Le informazioni che tracimano diventano permanentemente l’esperienza di un proprio ritardo cognitivo: si sa di non sapere ciò che si dovrebbe. Si deve convivere con la consapevolezza della propria inadeguatezza di pensiero e conoscenza. E quando entra nel cuore un sentimento di carenza è immediata la risposta inconscia di difesa, di elusione, di rimozione. Invece che godere dell’abbondanza informativa si impara a vivere senza profondità di conoscenze, accontentandosi della lettura di poche righe.
4. L’impoverimento del linguaggio
La cifra linguistica del digitale sono il touch e lo screen. E’ linguaggio di superficie e orizzontale. Poiché il tempo per approfondire è residuale, la vita organizzativa non può che scorrere orizzontale, avvalendosi di un linguaggio del contatto, della risposta emotiva, della velocità con ci si giunge alle conclusioni, alle certezze senza dubbi, alle continue decisioni che non si è più liberi di ignorare o rimandare.
Il linguaggio deve poter scorrere sulla superficie e sullo schermo, senza uscirne e andare nello schermo successivo o nel pensiero successivo, per essere immediato e orizzontale (non profondo). Un simile linguaggio non può che essere eroso e corroso, sminuito e depauperato. Semplificato e non semplice. Dalla riflessione all’infografica.
5. La perdita di concentrazione
Una risorsa che nutre il pensare di evoluzioni e innovazioni, ma anche l’esistenza di consapevolezza, conoscenze accurate e buone scelte è la concentrazione. La capacità di protrarre l’attenzione del pensiero a lungo sullo stesso contenuto, cercando successivi approfondimenti. Un prodotto neurobiologico, ovvero cognitivo, del digitale è l’erosione della capacità di concentrazione.
Le capacità della mente hanno una corrispondenza biologica nella qualità delle reti di sinapsi che collegano neuroni dedicati alla stessa abilità. Tanto è maggiore e impegnativo il ricorso a modalità di pensare o agire specifiche più complesse e vaste sono le reti sinaptiche che si generano. All’opposto quando non si utilizza una capacità il cervello cancella e rimuove le sinapsi lasciate inerti. E quando le strutture neurali sono state abbandonate è ben più difficile ritrovare quella capacità che non si pratica più.
Così è la per la capacità di concentrazione. La vita digitale produce incessanti interruzioni e frammentazioni di ciò che si sta facendo. Produce abilità necessarie per un pensiero intermittente, episodico e discontinuo. Ma viene anche meno l’abitudine a mantenere a lungo la concentrazione sullo stesso argomento. Le strutture neurali dedicate alla concentrazione vengono depauperate e si instaura un circolo vizioso: più fatica fa la mia mente a concentrarsi meno mi sforzo di farlo.
Vi è dunque una conseguenza da considerare: che ne è dell’organizzazione quando le persone perdono la capacità di concentrarsi, vivendo incessantemente nel presente e nella reazione immediata, sovente emotiva?
Gian Maria Zapelli – founder & ad di HC srl